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editoriali

Il Napoli è in salute: i quattro perni del nuovo corso degli azzurri

Emanuela Castelli

Il nuovo Napoli è straripante: analizziamo insieme come si è costruito questo avvio di stagione

Il Napoli di Luciano Spalletti vince, convince, domina, soffre senza disunirsi. Cosa è cambiato rispetto allo scorso anno e dove può arrivare la squadra azzurra

Sorpresa Napoli: si sta sulla vetta d'Italia e si vince anche in Europa. Tempi di adattamento strettissimi per i giovani, subito determinanti

A leggere la classifica di Serie A e del girone A di Champions League, un po' le vertigini possono venire. Il Napoli è lassù, in entrambe le competizioni, con il miglior attacco in Italia e la seconda miglior difesa. Roba che a pensare che Koulibaly è stato sostituito dallo sconosciuto Kim e che sulla fascia sinistra domina un certo Kvaratskhelia vengono i brividi e non ci si crede. Eppure, l'ottimo avvio di stagione del Napoli non è un caso ma è stato costruito dallo scorso anno, quando la Società sapeva di dover avviare un nuovo corso, che c'era la necessità di ringiovanire la rosa ed abbassare il tetto ingaggi. E così, Giuntoli si è messo alla ricerca di giovani talenti, ha lavorato sodo e con pazienza per assestare tutti i colpi di mercato che si era prefissato e ha consegnato a Spalletti una rosa meno esperta ma più lunga e duttile. Ecco i quattro punti su cui è stato costruito questo nuovo corso, al momento estremamente convincente, del Napoli:

  • PROGETTUALITA': Il Napoli è costruito bene, forse meglio dello scorso anno, con giocatori duttili, veloci nell'adeguarsi al sistema di gioco ideato da Spalletti, che esalta le peculiarità individuali mettendole al servizio della squadra. L'arrivo di Kvaratskhelia è stato programmato con largo anticipo, quello di Kim è stat pensato e voluto fortemente. Così come si è dovuto lavorare duro e di fino per portare all'ombra del Vesuvio Raspadori e Simeone, le cui trattative sono state lunghe e snervanti. Squadra costruita bene, con cognizione di causa, con un'idea tecnica già precisa nella mente. Il taccuino di Giuntoli annotava nomi specifici, che avrebbero potuto rispondere alle esigenze del tecnico di Certaldo.
  • SPOGLIATOIO UNITO: I leader dichiarati non ci sono, ma non mancano. Almeno, non fino a questo momento. Il Napoli si è privato in un so colpo dei carismatici Ospina, Koulibaly, Fabian, Insigne e Mertens e si è dotato di giovani talenti. Era la preoccupazione più diffusa, tra tifosi ed addetti ai lavori, a fine agosto: a destare ansie e perplessità, i tempi di adattamento dei nuovi - inesperti - calciatori ad un campionato e ad obiettivi diversi. Tanti di loro non avevano mai disputato la Champions, per dirne una. Né avevano mai lottato per un posto al vertice. Eppure, forse proprio la mancanza di leader sta permettendo a tutti di sentirsi parte integrante e determinante dello stesso progetto: tutti per uno, uno per tutti.
  • MERITOCRAZIA: No leader, no gerarchie. La zavorra del "posto fisso" lascia spazio alla leggerezza del merito: gioca chi merita, entra chi è più adatto a quella determinata partita. Non ci sono senatori da accontentare, malumori da dover affrontare. Si è tutti sullo stesso piano, e tutti sono chiamati ad apportare il loro contributo alla causa. Avanti, ragazzi, c'è posto per tutti (vedi il criticato Zerbin entrato contro il Milan)!
  • ENTUSIASMO: I giovani portano con sé inesperienza, è vero: ma anche un entusiasmo nuovo, linfa vitale per un Napoli che in passato ha illuso e deluso troppe volte, spesso sul filo di lana di campionati vissuti a mille all'ora e terminati in piena riserva di energie mentali, più che fisiche. Kvaratskhelia, Kim, Raspadori, Simeone giocano con gli occhi della tigre. Sono alla loro prima grande occasione, determinatissimi a non ciccarla. Historia non facit saltus: i big che sono andati via hanno dato tutto per questa maglia, lasciando in eredità ai nuovi la qualificazione in Champions e consegnando loro le chiavi di un'auto bellissima. Bellissima ma poco vincente. Questo, forse, il peso che si portavano addosso i leader di ieri, anche a ragione. Non è facile smaltire, anno dopo anno, le delusioni cocenti di campionati persi all'ultimo passaggio. Non è facile smaltire le scorie di lacrime che ancora ci piangono dentro. Difficile poi continuare a crederci, a crederci davvero. Il ricambio generazionale era doveroso. E, ad oggi, anche salvifico: non per i risultati, ma per quell'entusiasmo che, in un calcio diventato business nel quale i soldi decidono tutto, è capace ancora di determinare risultati, gol e atteggiamenti che da sempre sono linfa vitale per questo sport, che è e resta magnificamente e squisitamente  popolare.