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editoriali
La shitstorm borghesotta che sta colpendo Geolier dopo il primo posto a Sanremo (a valle della serata cosiddetta delle "cover") ha dell'incredibile e ci fa sentire coinvolti. Additati. Innanzitutto come radici e identità. Non tutta Napoli ama Geolier - seppure non se ne possa negare il gigantesco consenso in città - o ne apprezza la musicalità o il sostrato culturale, tuttavia Emanuele è un ragazzo di soli venti anni che si è fatto da solo e ha avuto un successo magistrale. Che possa o meno essere condiviso. Canta e rappa con i suoi valori, che possano o no essere posizionati come modelli sociali di riferimento. È una voce delle proprie sofferenze ed è riconosciuta come un simbolo di un degrado, di un'afflizione generazionale che cerca di darsi un tono. Semplicemente funziona. Ed è arrivato primo. In Liguria non se ne capacitano: lì su quella classifica hanno sfilato Giorgia e la Pausini, Mina e Claudio Villa. Non di certo Nino d'Angelo. Sanremo è da sempre il Festival dello schematismo e dei luoghi comuni. Il punto è che sembra la società italiana si sia accorta ieri sera dell'esistenza di Geolier.
Chi vi scrive insegna alle scuole superiori e non in Campania. Eppure non c'è un ragazzo o una ragazza che non conosca a memoria un testo di Geolier. Il problema è che pure i soloni del giornalismo musicale (e poi si dice di quello calcistico...) probabilmente partecipano all'atavico errore della stragrande maggioranza degli adulti delle generazioni dei nostri padri, ovvero quello di non ascoltare i giovani. Di non essergli abbastanza vicini. Di sorprendersi quando scoprono di una loro inclinazione, talento o voluttà. Così è accaduto al Bello Stivale nel guardare con stupore alla classifica di Sanremo: un napoletano che non canta in italiano, in cima. Sì, non ci vorrà Chopin, Bach o Beppe Vessicchio per capire che ci sono state performance di livello vocale migliore (si pensi alla strepitosa Skin in coppia coi Santi francesi, all'exploit di Big Mama, Gaia e co. e il female power sparato sul viso del patriarcato), ma il pubblico ha deciso così. Un pubblico che vede Geolier far esplodere Spotify nelle città di Milano, Torino, Faenza, Monza, Trento. Insomma dappertutto. È un fenomeno prima culturale che musicale ed è tutto giovanile: sono proprio i millennials che in maggioranza hanno votato al Festival. Sono loro che vogliono partecipare alla rivoluzione della musica a Sanremo, che forse non ha più spazio per Fiorella Mannoia e Donatella Rettore (due grandi cantanti ndr).
Chi scrive non aveva mai ascoltato prima di martedì scorso una canzone di Geolier, eppure non può esimersi dal criticare chi gli ha addirittura chiesto - in conferenza stampa - se si fosse sentito di aver "rubato" il primo posto ad altri. Come si può fare questa domanda a un ragazzo di 20 anni? Per puro odio verso la sua provenienza? Per invidia verso l'identità culturale che Napoli ha molto più evidente di altre città? Per semplice sillogismo di luogo comune del tipo: Geolier ha vinto. Geolier è di Napoli. A Napoli si ruba. Geolier ruba. Geolier ha vinto rubando. Aristotele aveva insegnato qualcosa di meglio, andando a memoria. Di fatto un ragazzo di 20 anni ha buone chance di vincere Sanremo ed è di Napoli, portatore simbolico di una città che - non abituata a vincere - sta vedendo una ribalta culturale, turistica veramente importante negli ultimi anni. C'è chi ancora non ne è consapevole. All'Ariston fischiano la scelta del Televoto e addirittura lasciano lo stabile da nobili feriti, da spettatori accortisi che alla fine il Gladiatore è morto e non hanno ricevuto lo spettacolo che volevano. Ma la musica è di tutti, come il calcio. Non dovrebbe avere barriere, come lo sport, come le relazioni interpersonali. Non è accettabile quanto è successo in sala stampa a Sanremo e dovrebbero dirlo tutti.
Di Mattia Fele
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