Ma crea identità e calcio anche uno come Carlo Ancelotti, tra gli allenatori più vincenti di sempre. Affiancato da suo figlio, un uomo sempre aggiornato e che ricerca nuovi spunti di calcio moderno sempre e comunque, aiutando alcuni tradizionalismi dell'ex Milan ad evolversi. A Napoli provò un 4-4-2 che in molti ancora definiscono liquido ma che nel primo anno fruttarono 79 punti e il secondo posto, pur non lottando realmente per il vertice (ma contro la Juventus di Cristiano Ronaldo!) e non c'era Osimhen o Kvara, ma la coppia d'attacco Insigne-Lozano. Non proprio lo stesso. Il suo Real Madrid ora ha il coraggio di tenere fuori Kroos e Modric, con un rombo guidato da Bellingham che è letteralmente il nuovo Benzema in fase realizzativa. Fa l'attaccante con la numero 5 e di certo questa è l'identità della squadra. Perché identità può anche essere gestione di uomini per far rendere al meglio i migliori che hai. Come in passato ha fatto Allegri, che negli scorsi anni sta però dimostrando di essersi arenato in certe convinzioni ideologiche di anti-giochismo. Come dice Guardiola, tutti vogliono vincere. Nessuno sceglie un modo per non farlo. Ma il calcio si evolve in modi così veloci che basta poco per non restare al passo.
Guardiola è addirittura un innovatore, che è passato dal TikiTaka allo scambio dei ruoli in mezzo al campo, col centrale difensivo che diventa mediano e ancora prima col terzino che si trasforma in mezzala. È stato copiato quasi da tutti i 4-3-3 più importanti d'Europa ma non solo. Persino Vincenzo Italiano con la sua Fiorentina sceglie di alzare uno come Martinez Quarta, che non è proprio Stones. Coraggio e idee portano virtuosismo e danno pane quotidiano a calciatori che non sono star. Che sono studiosi di pallone e vogliono essere rimpinzati di concetti tattici, tecnici, vogliono imparare come poter rendere in quel collettivo. De Zerbi insegna che costruire dal basso significa solo giocare a calcio, Dunk - difensore mediocre fino a due anni fa - parla di lui come di un uomo che gli ha aperto gli occhi e gli ha cambiato visione del gioco. Come Albiol parlava di Sarri al Napoli. La maniacale applicazione e la ripetitività di certi meccanismi crea la squadra identitaria, e l'identità crea per forza vittorie nel lungo periodo sia in squadre inferiori che in formazioni con individualità incredibili. Esistono poi anche idee meno spettacolari, perché idea non vuol dire circo: si pensi all'Atletico di Simeone e al suo iniziale 4-4-2 tutto difensivo che ora si sta man mano aprendo al gioco di possesso, sempre per la questione dell'evolversi. Si pensi al rischioso ma superbo Bielsa, a come solo l'identità e i princìpi di gioco (e umani) avrebbero potuto dare al Leicester un campionato di Premier League con Claudio Ranieri, che ora sta facendo difficoltà al Cagliari. Questione anche di incastri e annate.
Di tutto questo brodo non si è ancora capito dove inserire Rudi Garcia. Rimasto un po' incastrato tra le scale mobili dell'uno e dell'altro livello: dice che giocar bene aiuta a vincere, però in fase di riaggressione preferirebbe staccare la difesa dagli altri due reparti per recuperare palla un po' prima. Lo faceva anche Zeman nel 2000. La sua pecca sembra il non aggiornamento. Alcuni parlano di lui come di un furbo gestore, poi però dimostra che - oltre a dire che del Napoli precedente non conosceva niente perché non c'era - non ha ancora capito come adoperare una rosa ampia come quella del Napoli da giugno a oggi, metà ottobre 2023. E questo sta per costargli la panchina proprio ai danni di un uomo che, invece, della sua personalità e quindi della sua unicità ha fatto un'intera carriera. Sia sul campo che come uomo. Che giochi con il 3-5-2, 3-4-3 o addirittura ritorni al 4-3-3 di Bari, Antonio Conte porta con sé un marchio calcistico e gestionale e lo trasmette alle proprie squadre. Garcia ha fatto l'opposto, disgregandolo.
Di Mattia Fele
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