Garcia e i suoi giocatori devono capirsi. Che sia in sala video, davanti a una pizza o che chiamino un qualche esperto in materia. Il Napoli dello Scudetto non può scollarsi in quattro e quattr'otto e l'allenatore ha l'obbligo di ascoltare
Nello sport il campo è sempre il vero giudice. Tradisce il sudore degli allenamenti, gli schemi provati e talvolta anche le emotività, il carattere (sempre legato all'aspetto agonistico) degli uomini e delle donne. Gli spigoli meno smussati e i punti di forza reali di chi compete. Di tutto il contorno sappiamo poco e possiamo dire poco, sarebbero tutte vane illazioni o vocine da telefono senza fili. Discorsi che non supererebbero la prima lettura e verrebbero passati in rassegna con la definizione di destabilizzanti. Non serve uno studio sociologico però per poter ammettere che a Napoli lo Scudetto ha direzionato (e forse offuscato) i giudizi anche sugli inizi di questa nuova stagione. Nella quale si sarebbe ripartiti da zero e nessuno l'ha detto o intuito. Anzi, chi provava ad alzare la mano come a portare dubbi sulla gestione estiva e sul dopo Spalletti veniva messo a tacere. Città di eccessi, giornalismo di eccessi.
L'acqua che tira
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Oggi, dopo la prestazione a dir poco preoccupante del Napoli contro il Genoa, sarebbe troppo facile allo stesso modo puntare il dito contro un uomo solo o la società stessa. Sarebbe solo l'ennesimo picco di un grafico che continua a muoversi per antipodi. Prima straordinari, poi goffi comprimari. Quello che sembra e che per ora si può ampiamente ammettere è che il Napoli ha perso se stesso da un punto di vista tattico. Non fa più il 4-3-3 di palleggio, non è verticale in modo feroce e preciso come è potuto sembrare nelle prime giornate. Al momento è in una zona di nessuno che preoccupa chi il calcio lo conosce. Al momento addirittura parrebbe che Garcia non si sia troppo aggiornato nei suoi anni d'assenza dal calcio italiano e in generale dai club di vertice, e chi è più pessimista ha iniziato a lanciare allarmi un po' dappertutto. D'altronde il francese non ha lasciato briciole accomodanti in questo senso nelle ultime esperienze: il suo Lione arrivò in Semifinale di Champions in un anno stranissimo e con molto opportunismo. Il suo Marsiglia ebbe problemi di spogliatoio dall'arrivo di Strootman ed era in generale una squadra molto altalenante, per nulla coerente con le proprie doti pur arrivando poi in finale di Europa League. In Arabia pure ha avuto - pare - problemi nella gestione degli uomini al di là dell'aspetto tecnico puro. E se a questo aggiungiamo che un Napoli super identitario che ha stupito il mondo si è ora perso in mezz'ora contro la Lazio e in 76' a Genova, potremmo quasi annusare un senso di matematica. Due più due fa spesso quattro anche nel calcio.
Se la storia di Garcia parla in questo modo, quella dei calciatori del Napoli per ora ha sempre portato a parlare di gruppo professionale e coeso. Distinto e pronto a qualsiasi richiesta del tecnico. Questo almeno avveniva con Spalletti, che al suo primo anno neanche mancò di crearsi situazioni scomode. Una su tutte quella di Mertens che i tifosi chiamavano in campo a gran voce. La verità è che non era tra i pupilli del tecnico e ce ne siamo accorti tutti subito. Poi è stato svincolato insieme a Insigne e co. e il Napoli ha stracciato il campionato. Lo ha fatto con la fame dei suoi calciatori più tecnici. Una fame che ora sembrano aver perso, come un'auto che dimentica di saper correre. Questo non è possibile. Buona parte di questi problemi, di queste scintille non propriamente scoccate tra tecnico e gruppo si intravedono pure nelle parole (oltre che nei gesti) dell'allenatore stesso: la determinazione non basta? La Champions distrae? Zerbin invece di Lindstrom e Simeone, come a dire "qui il posto se lo prende chi sgobba in silenzio, altri invece..."? Eppure chi conosce Rudi parla di un uomo sempre dalla parte dei suoi calciatori, con cui ha creato ottimi rapporti che continua a coltivare nel tempo.
Siamo certi che anche con Spalletti il Napoli avrebbe patito delle difficoltà ad inizio anno, magari episodiche o dovute alla sazietà di un successo troppo clamoroso, dopo il quale è difficile rimettersi subito in discussione. Lo è persino per chi scrive, per gli addetti che hanno ancora davanti Napoli-Liverpool e Juventus-Napoli come se fossero partite di ieri. Oggi ci si ritrova a raccontare un'altra squadra ed è forse pure un bene che subito siano stati scoperti tutti i nodi purché li si sciolga relativamente in fretta. Ciò che però sembra altrettanto probabile è che molto difficilmente con Spalletti si sarebbero visti problemi di natura tattica. Di una squadra che sembra andare di testa propria - perché non vogliamo pensare che questo modo di giocare sia quello che vuole Garcia - contro la propria stessa logica. E non si parla di quanti palloni abbia toccato Lobotka o di quanti cross siano arrivati ad Osimhen, o di quanti tiri abbiano centrato lo specchio. Si parla di princìpi e di fiducia nei valori che si vanno a proporre, che devono sempre essere condivisi tra chi guida e chi opera. Nessun dipendente lavora bene se non è felice e se non si sente valorizzato per le proprie qualità. Nessun datore di lavoro è felice se il proprio dipendente non lavora bene. E se il cane si morde la coda, arrivi il padrone e intervenga con decisione a trovare un punto di incontro. Ad evitare che giri su se stesso fino a svenire.