Se la storia di Garcia parla in questo modo, quella dei calciatori del Napoli per ora ha sempre portato a parlare di gruppo professionale e coeso. Distinto e pronto a qualsiasi richiesta del tecnico. Questo almeno avveniva con Spalletti, che al suo primo anno neanche mancò di crearsi situazioni scomode. Una su tutte quella di Mertens che i tifosi chiamavano in campo a gran voce. La verità è che non era tra i pupilli del tecnico e ce ne siamo accorti tutti subito. Poi è stato svincolato insieme a Insigne e co. e il Napoli ha stracciato il campionato. Lo ha fatto con la fame dei suoi calciatori più tecnici. Una fame che ora sembrano aver perso, come un'auto che dimentica di saper correre. Questo non è possibile. Buona parte di questi problemi, di queste scintille non propriamente scoccate tra tecnico e gruppo si intravedono pure nelle parole (oltre che nei gesti) dell'allenatore stesso: la determinazione non basta? La Champions distrae? Zerbin invece di Lindstrom e Simeone, come a dire "qui il posto se lo prende chi sgobba in silenzio, altri invece..."? Eppure chi conosce Rudi parla di un uomo sempre dalla parte dei suoi calciatori, con cui ha creato ottimi rapporti che continua a coltivare nel tempo.
Siamo certi che anche con Spalletti il Napoli avrebbe patito delle difficoltà ad inizio anno, magari episodiche o dovute alla sazietà di un successo troppo clamoroso, dopo il quale è difficile rimettersi subito in discussione. Lo è persino per chi scrive, per gli addetti che hanno ancora davanti Napoli-Liverpool e Juventus-Napoli come se fossero partite di ieri. Oggi ci si ritrova a raccontare un'altra squadra ed è forse pure un bene che subito siano stati scoperti tutti i nodi purché li si sciolga relativamente in fretta. Ciò che però sembra altrettanto probabile è che molto difficilmente con Spalletti si sarebbero visti problemi di natura tattica. Di una squadra che sembra andare di testa propria - perché non vogliamo pensare che questo modo di giocare sia quello che vuole Garcia - contro la propria stessa logica. E non si parla di quanti palloni abbia toccato Lobotka o di quanti cross siano arrivati ad Osimhen, o di quanti tiri abbiano centrato lo specchio. Si parla di princìpi e di fiducia nei valori che si vanno a proporre, che devono sempre essere condivisi tra chi guida e chi opera. Nessun dipendente lavora bene se non è felice e se non si sente valorizzato per le proprie qualità. Nessun datore di lavoro è felice se il proprio dipendente non lavora bene. E se il cane si morde la coda, arrivi il padrone e intervenga con decisione a trovare un punto di incontro. Ad evitare che giri su se stesso fino a svenire.
Di Mattia Fele
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