editoriali

Antonio Conte è il Novak Djokovic del calcio italiano

Antonio Conte è il Novak Djokovic del calcio italiano - immagine 1
Due uomini di sport legati (inconsapevolmente) da un filo invisibile da ben 14 anni
Alex Iozzi

Umile di origini, ma non di carattere, traviato (positivamente) dalla cultura del lavoro, allergico alla sconfitta e, pertanto, incurabilmente ossessionato dalla vittoria, dirette conseguenze di innumerevoli trofei e di una generata antipatianei propri confronti che fa peccare la gente di mancanza di obiettività: un identikit che descrive magistralmente la figura di Antonio Conte, ma che per gli appassionati (oppure, quantomeno, per una buona fetta di essi) di un altro sport, quale il tennis, risulta impossibile non associare a Novak Djokovic.

La (costante) vittoria che genera antipatia: il destino sincronico di Antonio Conte e Novak Djokovic

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Anno 2011, mese di febbraio: alla vigilia di una sfida di campionato (valevole per la 28ª giornata di Serie B) col Modena, un Antonio Conte (all'epoca, allenatore del Siena) stufo marcio delle ripetute critiche rivolte dalla tifoseria dei Robur nei suoi confronti, oltre che verso i calciatori, sfoga tutta la propria frustrazione attraverso un monologo dalla durata di cinque minuti dinanzi ai media presenti in conferenza stampa. Un soliloquio, più che monologo, divenuto immortale grazie all'ormai celebre espressione: "Gufi, state a casa!". "Gufi", appellativo riferito a "chi viene allo stadio per criticare la squadra", a "pseudo-tifosi" da cui difendere i ragazzi che scendono in campo tutte le domeniche e che, dunque, "non vogliono il bene del Siena". Un singolo momento che segna la "nascita" di un personaggio che non consente "vie di mezzo": o scegli di amarlo oppure l'esatto opposto. Il preludio di una carriera ricolma di successi, ma durante la quale non incontrerà mai le simpatie di una cerchia non particolarmente ristretta di persone.


Parallelamente, ad una distanza piuttosto considerevole di chilometri, Novak Djokovic conquista l'ATP 500 di Dubai (20° titolo di un totale di quelli che vincerà pari a 99), trionfo preceduto dall'inserimento in bacheca dell'annuale edizione dell'Australian Open, 2° di 24 Slam (record assoluto nella kermesse) su cui il nativo di Belgrado apporrà la propria firma. Una coppia di risultati che dà il via alla striscia d'imbattibilità più lunga nella centenaria storia dello sport della racchetta: 41 vittorie consecutive fatte registrare da metà gennaio ad inizio giugno (43 se si tiene conto anche di quelle conseguite ai danni di Gilles Simon prima e Gael Monfils poi in occasione della finale di Coppa Davis disputata e "portata a casa" con indosso i colori della sua amata Serbia contro la nazionale francese nel dicembre antecedente). Una dominanza di una portata tale da sancire la conclusione del dualismo Federer-Nadal, allargando il dibattito su chi sia il più grande tennista di ogni tempo ad un trio: un'azione mai digerita né dai supporters dello svizzero né da quelli dello spagnolo, neanche dopo i rispettivi ritiri di ambedue i fenomeni.

"Siamo antipatici perché vinciamo? Non è un problema nostro!"

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L'ultima prova tangibile di una tesi che non avrebbe bisogno di venir motivata risale all'alba della settimana corrente: "Non è una bella immagine per il nostro sport. Non avrei voluto vedere una cosa del genere perché, negli ultimi 20 anni nei quali ho giocato in un tour professionistico, siamo stati uno degli sport più puliti, o almeno credo che lo siamo stati e continuerò a crederci. Sto soltanto mettendo in discussione il modo in cui funziona il sistema e perché alcuni giocatori non vengono trattati allo stessa maniera di altri. [...] Conosco Jannik fin da quando era molto giovane e non mi sembra un ragazzo capace di prendere una sostanza proibita intenzionalmente, ma sono davvero frustrato, come la maggior parte dei giocatori, nel constatare che siamo stati tenuti all'oscuro di tutto per cinque mesi". Questo il commento più recente rilasciato da Djokovic sul Caso Clostebol che ha coinvolto (e che continua a coinvolgere) il numero uno del ranking ATP: Jannik Sinner. Parole, ovviamente, mal interpretate (senza assenza di malizia) e che hanno scatenato l'ira dei seguaci italiani di tennis, considerate come una dimostrazione dell'invidia che il campione serbo prova nei confronti dell'astro nascente tricolore. Frasi identiche a quelle pronunciate non troppo tempo fa da Roger Federer, ma che se escono dalla bocca di "Nole" assumono un significato differente.

Una situazione che potremmo definire analoga a quella verificatasi ieri nel corso della battaglia andata in scena allo Stadio Artemio Franchi tra Napoli e Fiorentina: Moise Kean sigla quella che sarebbe stata la rete dell'1-1, ma controlla il pallone col braccio destro e, come da regolamento, il VAR annulla il gol. Una decisione su cui non ci sarebbe alcun motivo per lamentarsi, eppure il popolo del web, memore del discorso tenuto da Conte sulle "problematiche del protocollo" nel post-partita di Inter-Napolidello scorso novembre, non perde attimo ad esternare la propria indignazione su qualunque social network esistente. Una lamentela che tutti gli allenatori di Serie A (nessuno escluso) avanzano a cadenza settimanale, ma siccome il soggetto protagonista di tali affermazioni è nato a Lecce, in data 31 luglio 1969, vengono fatti due pesi e due misure.

14 anni, quasi tre lustri vissuti nei panni di nemici che la gente ha scelto come "bersagli prediletti" per partito preso. 14 anni che è possibile riassumere con la più famosa delle citazioni legate al nome di Antonio Conte: "Sono antipatico perché vinco? Non è un problema mio!". Una condizione che fa trasparire la grandezza di entrambi gli sportivi e quanto questi abbiano cementato la loro leggenda durante le rispettive carriere: da un lato uno dei "manager" più influenti del XXI secolo, dall'altro un serio candidato alla palma di "migliore di sempre" (e non limitatamente al proprio sport).

A cura di Alex Iozzi

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