editoriali

Al «novantesimo» del 2023 ricordiamo d’aver visto le nuvole, al di là dell’improvvisa discesa

Mattia Fele
Mattia Fele Editorialista 

Si prenda oggi un giorno per brindare alle emozioni di quel mese di maggio 2023. Che oggi sembra così lontano ma sì, è successo. Alziamo i calici e diciamocelo negli occhi a vicenda

Il 2023 calcistico del Napoli aveva avuto inizio da una sconfitta contro l'Inter, poco dopo la straordinaria vittoria dell'Argentina in Qatar. Partita che oggi sembra un passaggio di testimone con il senno del poi. Quell'1-0 aveva minato in nuce delle certezze che sembravano irreprensibili sulla lotta Scudetto, poiché già prima che si concludesse il girone di andata (ma ben prima) il Napoli era ampiamente al comando della classifica e aveva scioccato l'Europa. Lo aveva fatto con Spalletti ma soprattutto con Giuntoli e De Laurentiis, che insieme avevano costruito una squadra di calciatori affamati e avevano mandato via coloro che non potevano/volevano più far parte della giostra. O che comunque erano troppo feriti per dimenticare il 2018 e il 2022, quando pure non si era più scarsi degli altri, come disse Mertens. E l'uomo Spalletti - poi fuggito a gambe levate e fin troppo osannato ciò nonostante - gli rispose a tono. Quella gara contro Simone Inzaghi sembrò il solito tintinnio dell'allarme, le unghie sulla lavagna mal auspicanti e stridenti. Circolò a gennaio un pessimismo completamente fuori luogo e che durò in effetti fino al 5-1 contro la Juve, praticamente due partite dopo.

Mai così in alto, con questo slancio

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Cinque gol alla Juventus nello stadio intitolato a Maradona. La città completamente fuori di testa per i suoi beniamini. Così è andata via via colorandosi e il successo ha iniziato ad essere sociale, culturale. Napoli si è riempita di turisti e appassionati, perché anche nell'immaginario collettivo una vittoria dello Scudetto avrebbe avuto qualcosa di imprevedibile, di storico e straordinario. Lasciava una gioia nell'aria che tutti - a turno - venivano a respirare. Così la corsa non si è mai arrestata. Per un attimo o poco più, durante quella serata ad Udine, il tifoso del Napoli ha capito a cosa fossero "serviti" gli anni precedenti. Ed ha inneggiato al gol di Lavezzi al 93' contro il Cagliari, al pareggio di Denis contro il Milan, al gol di testa di Hamsik contro il Palermo a pochi secondi dalla fine. Al vantaggio a Manchester di Cavani come al pareggio di Inler col Chelsea. Alla rovesciata di Paolo Cannavaro che ha portato ai rigori in Coppa Italia contro la Juve, nel 2006. Alla girata di Calaiò contro il Lecce, mentre lo stadio s'era tatuato in petto un Ti Amo grosso quanto una Curva nel 2007. Tutto ha avuto un perfetto senso col fischio finale alla Dacia Arena: dai pianti in famiglia alla gioia degli emigrati, in casa da soli. Alle videochiamate a lunga distanza. A chi scrive, che ha pianto dalla Tribuna Stampa durante il turno di lavoro. Gridando che è finita. Era finito uno strazio che ha somigliato ad un dominio, ad una prigionia. L'essere relegati a contar poco. Il Napoli ha dimostrato, nel 2023, che fare calcio con le idee è ancora possibile nella modernità, nel mondo tutto-soldi e poco progetto, poca vita sana in tutti gli àmbiti.

Difficilmente una squadra così meno blasonata delle altre aveva dominato ampiamente un campionato. Fatta eccezione per il Leicester, che beccò anche una stagione in cui bastarono poco più di 80 punti per vincere la Premier. Il Napoli ne ha fatti 90 e rischiava di farne 100. Il punto è anche il come: Spalletti ha vinto con le idee, con il gioco. Con il calcio relazionale, che è una visione super-evoluta ma anche basilare di ogni sport di gruppo. Incidere sulle intese. Nessun altro ci era riuscito se non Sarri, che però quelle intese le aveva trovate naturalmente grazie alla rosa che aveva a disposizione. Ha poi inventato Dries Mertens, ma anche lì si potrebbe parlare di fortuna. Creare Giovanni Di Lorenzo e Victor Osimhen, dare vita a Lobotka come metronomo beh, è stato merito ampio della guida tecnica dell'anno scorso. Atipica ma troppo, troppo forte.

Eppure la vittoria non ci ha salvati. Non ci ha reso migliori ma deliranti. Ci è bastata perché la bellezza ci ha accecati. Questo è successo: il Napoli chiude il 2023 all'ottavo posto dietro al Bologna, alla Fiorentina, alla Roma. Inspiegabilmente. Mentre qualunque tifoso ancora guarda interviste e documentari su uno Scudetto che risale a soli 7 mesi fa. Sembra già una vita. Prima De Laurentiis col mercato degli scontenti non accontentati, poi con la scelta di Garcia e con le colpe sue e del preparatore atletico. Poi con la toppa non messa dopo Napoli-Fiorentina, poi con la toppa messa ma (forse?) sbagliata: il ritorno di Mazzarri, che al momento non ha cambiato assolutamente niente. Lo dicono i numeri e dobbiamo accettare anche questo. È un passo indietro gigante che rischia di far ritrovare il Napoli nella dimensione degli ultimi dieci anni e non in quella degli ultimi 10 mesi. Questo perché tutti - chi scrive compreso - hanno vissuto il trionfo come una scorpacciata troppo intensa, come il traguardo. Come se tutti si fossero chiesti: e ora come funziona? Cosa che nel triangolo nordico a strisce non si chiedono mai, perché sono abituati. O se non lo sono, glielo insegnano. Perché hanno società longeve che durano ininterrotte da 100 anni, non dal 2004 come il Napoli di De Laurentiis. Tanti errori, tante macchie. Per un 2023 da 10 fino a giugno, da 4 fino a dicembre. Una bella media dell'8 che non deve far dimenticare nulla, bensì far prendere un'altra rincorsa per risalire dove si stava così bene. Per cui oggi, che è tempo di bilanci e brindisi, alziamo i calici e prendiamoci il tempo di gustarci da capo e con più serenità tutte le emozioni che lo Scudetto ha generato. Sentiamoci di nuovo in piazza.


Buon anno a tutti.

 

Di Mattia Fele

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