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Che bello! Eccolo il derby che aspettavo da un pezzo. Botte da urbi e da orbi. L’odore del sangue. Derby sanamente, esplicitamente, voluttuosamente fratricida. I due club forse più virtuosi in fatto di plusvalenze finanziarie smetteranno sabato per due ore l’abito da Wall Street e, in mutande e bulloni, se le daranno di santa ragione. Per uno e mille motivi. La Roma ha una voglia matta di dare la gogna a tutto il mondo disgustato che l’ha schifata di questi tempi, presidente in testa. La Lazio si lecca tutto quello di cui dispone, l’occasione grandiosa di precipitare all’inferno le boriose ma fragili statuine dell’altra sponda. A cominciare da Di Francesco, che non è certo borioso e nemmeno fragile, ma pericolante sì. La Roma per tornare a immaginare di avere ancora una vita, la Lazio per spegnerla con tutti i talloni di cui dispone, come si fa con una cicca che si crede fuoco. Insomma, sopravvivenza, passione, orgoglio, brutalità, tutta la marmellata dinamitarda dell’epica.
APNEA - Lo vogliono i tifosi. Novanta minuti di calcio spasimato, dopo la vigilia in apnea. Dove, alla fine, sia chiaro il verdetto, gli sconfitti ammucchiati a brucare il loro dolore tra i fili d’erba, i vincitori dal torace espanso che se ne fregano dell’idea che infierire sia roba da cafoni. Niente prigionieri. Niente vie di mezzo. Le ultime parole da derby furono pronunciate cinque anni fa da un francese di sangue andaluso, Rudi Garcia, faccia da legionario, uno parecchio sanguigno sotto l’occhio celeste. Non informato del politicamente corretto che da qualche tempo infetta la sfida capitale, Rudi se ne uscì con quel suo strepitoso “Abbiamo rimesso la chiesa al centro del villaggio”, la frase più romanista (e anti-laziale) di sempre, preceduto nel ritiro di Brunico da un molto estremo “Chi non ama la Roma è laziale”. Che nemmeno il trasteverino Mazzone e il testaccino Ranieri si sono mai sognati. Corriere dello Sport.
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