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TORINO - Cristiano Ronaldo è la fabbrica di se stesso. La Juventus è la fabbrica di se stessa. Quando si sono incontrati è stato come la tessera finale del puzzle che si adagia al suo posto, senza neppure un clic. Arrivare a un certo punto, a una certa età, a un certo livello professionale equivale a essere la Regina Rossa che Alice incontra oltre lo specchio: corri, corri ma solo per restare allo stesso punto. E a Cristiano basta. Trentaquattro anni da raggiungere e tanto da divertirsi. La Juve probabilmente non è ancora in quella fase. Quasi, ma prima deve vincere la famosa Champions League che è la maledizione del millennio. Si sono incontrati apposta.
Cristiano, come si trova in Italia?
«Alla grande. Sul serio. La stampa parla sempre bene di me».
Abbia pazienza. Siamo appena all’inizio.
«Eh, eh. Questo è vero».
Torino è diversa da Madrid.
«Decisamente. Più piccola. Carina. Mi piace il posto, mi piace la gente. E il club. La Juventus è fantastica, organizzata, con giocatori che lavorano duro. Ho avuto subito un’ottima impressione».
In sintesi: è stata la scelta giusta.
«Avevo diverse opzioni. Non dirò mai quali. Ma la Juventus è un club solido. Ha tanta storia addosso. Due finali di Champions League, sette scudetti. Conoscevo l’atmosfera degli stadi, dello Stadium. Avevo giocato diverse volte in Italia, un paio di volte contro la Juve. Avvertivo sintonia. Poi ho conosciuto il resto. Non potevo essere sicuro al cento per cento di andare nella migliore società del mondo. Nove anni a Madrid sono un paragone ingombrante. Però sono sicuro al cento per cento di avere preso la decisione giusta al momento giusto».
In che cosa la Juve è diversa dal resto del mondo?
«Sotto diversi aspetti. Anche nella maniera in cui mi sono sentito trattato. Piccoli dettagli fanno una grande differenza. Io preferisco sottolineare la somiglianza. Manchester United, Real e Juve sono le squadre di punta nei rispettivi Paesi. E qui si dividono le strade. In Italia, per esempio, si tende a difendere di più in campo, con maggiore attenzione. E fuori del campo in Spagna l’organizzazione è molto più rilassata. In Italia sono maggiori la concentrazione, la dedizione, l’impegno. Alla fine della giornata il livello della qualità è analogo» Corriere dello Sport.
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