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Charlie Stillitano: «Roma, Pallotta è stanco»

Redazione

ROMA – L’uomo che vuole far giocare la Serie A a New York deve fermarsi davanti a un’italianissima oliva ripiena. «Charlie è a dieta», dice con deferenza il suo braccio destro, Frankie Campagna, mentre guarda...

ROMA - L’uomo che vuole far giocare la Serie A a New York deve fermarsi davanti a un’italianissima oliva ripiena. «Charlie è a dieta», dice con deferenza il suo braccio destro, Frankie Campagna, mentre guarda il boss, barba sale e pepe, corporatura rotonda, camicia celeste e cravatta scura, sorridere tra sé, mentre si serve una fettina di prosciutto. Da bere, solo acqua gassata. Charlie Stillitano, 58 anni, avvocato italoamericano del New Jersey, figlio di emigrati da Gioia Tauro, studi a Princeton, è stato definito dal New York Times il manager invisibile più potente del calcio mondiale. Nel ’95 in Usa portò il Parma, nel 2002 organizzò Roma-Real con 70 mila spettatori, nel 2013 ha fondato la Relevent Sports - che organizza l’International Champions Cup - con il proprietario dei Miami Dolphins di football americano, Stephen Ross, un immobiliarista con un patrimonio di 15 miliardi di dollari. Amico di Pallotta, Agnelli, Florentino Perez, lo sceicco del Psg Al-Khelaifi, Stillitano è un tipo ironico, diretto, ti parla appoggiando la mano sulla spalla, ma ha un approccio più freddo quando si parla di business. A lui si è rivolto Jorge Mendes per sapere come aumentare gli introiti pubblicitari di Ronaldo. Mourinho lo chiama Mister Zero Mistakes, zero errori. Ferguson, quando va a trovarlo a casa, chiede sempre lo stesso piatto: lasagne alla bolognese. Naturale che l’intervista si svolga in un ristorante italiano sulla 9ª Avenue, dopo quaranta giorni di contatti, quattro appuntamenti saltati, compreso questo se non fosse che ormai eravamo sotto la sede dei suoi uffici, all’undicesimo piano di un palazzo di Manhattan sulla 55th.

Qual è l’immagine del nostro calcio negli Stati Uniti?

«In crescita, ma con Calciopoli vi siete fatti male da soli. Negli Stati Uniti avrebbero salvato le società e i tifosi, e mandato in galera per vent’anni i responsabili. E poi internet: lo scandalo scoppiò alla vigilia del boom della rete, quando ogni notizia è diventata planetaria. Ricordo una scena in New Jersey: i bambini in cortile cominciarono a darsi i nomi delle squadre. Tu Barcellona, tu Real, io Liverpool, tu Juventus… e un bambino disse no, io non voglio essere la Juventus perché sono ladri…».

Lei è amico di Pallotta. Cosa pensa della sua avventura italiana?

«L’ho visto due settimane fa. Mi è sembrato deluso, molto deluso. Forse pensava che, dopo la scorsa stagione, trovare ricavi fosse più facile (ride, ndr). No, scherzo. Però è un po’ perplesso, non so cosa possa fare. Gli ho detto: Jim, il progetto è buono, hai giovani bravi, penso a Kluivert, Ünder, Schick mi piace molto, e poi quel Lorenzo Pellegrini…».

Crede che Pallotta continuerà a investire nella Roma?

«Se il progetto dello stadio andrà avanti, sì. Se dovesse arrivare un altro blocco, secondo me lascia». Corriere dello Sport.